"Al Dio ignoto" di morte e vita
03 August 2016
di Mariangela Bombelli
"La morte
è il lato della vita
rivolto dall’altra parte rispetto a noi"
(Rilke)
Nella società capitalistica e industrializzata la morte, eccezion fatta per quelle celebri, sembra non avere più uno spazio dove essere pensata, affrontata, elaborata a livello comunitario rimanendo così confinata nella sfera individuale della persona. La società di oggi sembra non potersi permettere pause: la dimensione del business, del consumo, prevale su quella spirituale. Scompare dalla scena collettiva la condivisione del lutto, che oggi finisce per assumere una dimensione del tutto privata e personale anche laddove, come in alcune realtà del nostro Sud, fino a qualche decennio fa gli venivano riservati dei rituali di condivisione pubblica. Una società con queste caratteristiche, tutta concentrata sul godimento immediato di tutto, ovviamente, non sa darsi nemmeno il tempo per “prepararsi alla morte”. Con un progetto davvero coraggioso, il regista Rodolfo Bisatti, e la Kineofilm, hanno scelto di raccontare della morte e dell’elaborazione del lutto nel film “Al dio ignoto”, proprio con l’intento di promuovere una consapevolezza sociale nei confronti di questo momento inevitabile dell’esistenza umana, verso il quale domina ancora un approccio scandalistico, di paura, di rimozione, negazione e allontanamento. Il film è la storia di Lucia, un’infermiera che da qualche anno si è trasferita a Merano, dove è nato suo marito Michael. Ha un figlio, Gabriel, e vive nel ricordo della sua primogenita Anna di 6 anni morta per leucemia. I tre elaborano il loro lutto ognuno attraverso il proprio meccanismo di sottrazione, tipico di eventi come questi: un pianto inconsolabile (Michael), l’allontanamento (Gabriel che gira verso il muro la foto della sorella) o il vivere il momento della separazione dalla figlia come un eterno qui e ora (Lucia). Per dare un senso alla sua sofferenza Lucia lavora da qualche anno in un hospice, dove, tra gli altri pazienti, incontra Giulio, un simpatico e colto professore, capace di tessere relazioni importanti con altri pazienti e con Lucia stessa, che, pur continuando in famiglia a non parlare del lutto, si lascia trasformare dalla comunicazione empatica con Giulio, riuscendo a mettere in discussione il suo rapporto con il figlio e a comprenderne l’ansia di libertà. Il progetto del film è il risultato di una lunga attività di ricerca sull’argomento della morte e del lutto condotta dal regista e dall’Associazione Kineo fin dal 2000 , agli albori delle cure palliative, quando in Italia esisteva soltanto un hospice, il Domus Salutis di Brescia: il documentario realizzato allora proprio in questo centro contribuì alla diffusione dei centri di terapia del dolore. Ma se, oggi possiamo contare più di 500 hospices su tutto il territorio nazionale, non possiamo comunque ritenere concluso il cammino di sensibilizzazione sul tema del fine vita nei confronti delle persone e delle istituzioni perché la morte e il lutto continuano a restare degli innominabili. Il circo consumistico prodotto dalla cultura capitalistica, infatti, ci vuole immersi nella spirale “salute-benessere-bellezza-esibizione” dove non hanno spazio parole come malattia e, men che meno, morte o lutto, tutti eventi inevitabili che trovano le persone sempre più impreparate. Ma ci si può preparare a morire o ad affrontare un lutto? Rodolfo Bisatti con il suo “Al dio ignoto” ci dice che sì, è possibile attraverso il maturare di una cultura sociale della morte, che superi i meccanismi consolatori proposti dalle religioni o il nichilismo di chi vede in essa la fine di tutto e che attui una dimensione di compresenza tra la vita e la morte - soprattutto recuperandone l’aspetto comunitario perché chi sta morendo possa comunque sentirsi dentro una storia che continua - e chi si trova ad affrontare un lutto non sia lasciato solo ad attraversare il disagio, spesso disgregante, dell’angoscia. E’ proprio nell’aspetto relazionale, nella sperimentazione dell’incontro con gli altri, che, nel film, Lucia trova la chiave per comprendere cosa è accaduto in lei e per riposizionarsi nel rapporto col figlio. Il film è autoprodotto e il crowfunding, promosso per la sua realizzazione è iniziato da tempo. Speriamo in un breve passaggio nelle solite sale di nicchia - come troppo spesso succede per i film di impegno civile realizzati al di fuori dei grossi circuiti commerciali - ma, soprattutto, auspichiamo che una diffusione più capillare del progetto di Rodolfo Bisatti aiuti questa società distratta a riflettere sul fine vita, come momento che intrinsecamente le appartiene. E a non averne paura.
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News » RIFLESSIONI DI VITA | Wednesday 03 August 2016
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