COL GIOCO, NON SI GIOCA

23 January 2017

Testo, video e foto di Raffaella Bonora Iannece

Ore 21:00, accendiamo la tv per fare un po’ di zapping e vedere cosa c’è in prima serata, programmi vari, quiz, qualche serie … finalmente troviamo qualcosa che fa per noi: magari è un lungometraggio mai visto o un cartone animato da guardare con i nostri bambini. Dopo pochi minuti, messaggi promozionali. Sono le 21.30, o magari le 22.00, sul piccolo schermo la prima faccia che compare è quella di un noto vip che pubblicizza il gioco. Non ci facciamo caso. Osserviamo un altro paio di pubblicità e poi? Di nuovo il volto dello stesso vip, lo stesso messaggio … la cosa si ripete tre o quattro volte ad ogni intervallo pubblicitario. Ci si pone allora una domanda: da quando in qua si sponsorizza tanto qualcosa che fa male, che è vietato ai minori e provoca dipendenza (come la voce fuori campo precisa alla fine del video, o meglio, deve precisare per rispettare i termini di legge)? Non vediamo in tv pubblicità delle sigarette, non viene pubblicizzata la droga o la prostituzione. Il gioco d’azzardo sì. Perché?

Secondo l’art.721 del Codice Penale si definiscono “giuochi d’azzardo” quelli “nel quale ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria”. Riflettiamo un attimo e ci salta agli occhi la triste ovvietà: sono tutti giochi d’azzardo, soprattutto quelli di cui decanta il nostro televisore, mentre allegramente guardiamo un film in famiglia. Il gioco, oggi giorno, non è più qualcosa da bambini. Secondo Cesare Guerreschi, direttore della Società italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive, gli affetti da ludopatia sarebbero in Italia centinaia di migliaia. Quando sentiamo la parola “gioco d’azzardo” la mente corre ai grandi casinò, ma la colpa principale della ludopatia (disturbo del comportamento rientrante nella categoria diagnostica dei disturbi del controllo degli impulsi, che ha una forte attinenza con la tossicodipendenza; infatti il giocatore d'azzardo patologico mostra una crescente dipendenza nei confronti del gioco d'azzardo) non sono le case da gioco, che trattengono statisticamente una percentuale sul giocato che va dall’ 1 al 3%, ma i giochi pubblici. I giochi pubblici sono truffe legalizzate, trappole mortali dove lo Stato trattiene dal 30% a ben il 90% (nel caso di una cinquina al lotto), non a caso il lotto è stato definito “tassa sull’ignoranza”, e non perché chi vi si dedica sia un proverbiale “ignorante”, ma, in maniera molto più profonda, ne ignora gli oscuri meccanismi. Avete mai giocato con gli amici a testa o croce o magari a dadi? Vinci un euro, perdi un euro, giusto? Giochereste ai dadi se la perdita fosse di un euro e la vincita di dieci centesimi?  Beh, non credo, ma purtroppo certe statistiche non vengono diffuse eppure, il Decreto Legge 13 Settembre 2012, n.158, riporta all’art. 7 una serie di “Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia”, nello specifico al comma 4bis, dispone che “le pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro devono riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato”. I miei occhi, e anche i vostri, si saranno sicuramente soffermati su quel “chiaramente visibile”. Eppure, per quanto ci si concentri sul ricordo di determinati spot, non si riescono a ricordare queste percentuali di probabilità, forse non sono proprio così chiaramente visibili. Il punto è che ognuno di noi riceve centinaia di imput al giorno che lo spingono ad entrare in un tabacchino e comprare un gratta&vinci, giocare qualche numero al lotto, inserire una monetina nella prima macchinetta a tiro, ma nessuno viene messo in guardia sul pericolo che si acquatta dietro un gesto che sembra innocente, superficiale, che compiamo con nonchalance. Quante volte abbiamo detto  “vabeh che fa, un euro … cinque euro … dieci euro … tento la fortuna e, se va bene, cambia la vita”. Cambia la vita, ma la cifra astronomica che vediamo a caratteri cubitali, stampati ovunque, non è la cifra che ci entrerebbe effettivamente in tasca, se vincessimo. Se. Le probabilità di vincita sono bassissime, decisamente più alte sono, invece, quelle di cadere nel vizio del gioco. Migliaia sono le persone che hanno perso tutto, dietro un numero fortunato, inseguendo un sogno che, nel tempo, si è trasformato in un terribile incubo privo di vie d’uscita. Il vizio del gioco è una porta aperta sull’inferno, un inferno fatto di debiti, di strozzini, di illegalità e, nel peggiore dei casi, porta alla morte: quanti sfortunati giocatori, ridotti sul lastrico, hanno fatto la scelta sbagliata, quella di suicidarsi e quanti, invece, sono stati uccisi dai loro creditori? Anche nel mondo dello spettacolo, le dolorose testimonianze sulla pericolosità del gioco, sono tante. “Papà era un giocatore incallito” racconta Christian De Sica “[…] di fronte al gioco perdeva la testa. Un giorno avevo la febbre e alla mia richiesta di andar via per riposare mi disse: è pieno di divani. Sono stato il giovane figlio di un giocatore e credo che sia importante combattere e prevenire comportamenti potenzialmente dannosi”. L’Italia, negli anni, è diventato l’amaro “Paese dei balocchi”, dove il gioco d’azzardo è la terza impresa nazionale, con circa 80 miliardi di euro di fatturato solo del mercato legale del gioco nel 2011, è al primo posto in Europa e al terzo posto nel mondo. Sulla nostra piccola penisola sono sparse 400 mila slot-machine, cioè una macchina mangia soldi ogni 150 abitanti. Per non parlare della ria moda dei Bingo che, dal 2001, sono spuntati come funghi in tutt’Italia. Il Bingo dovrebbe essere la versione, in grande, della dolce partita a tombola familiare, ma qui non si puntano caramelle. Le giocate durano davvero poco, grazie al fatto che giocano in contemporanea centinaia e centinaia di persone, e in un’ora si acquistano più cartelle di quelle che ci si possono permettere, nella foga di vincere, pensando “al prossimo giro tocca a me”, e non calcolando che, seppur si riesce a vincere, in tasca rientra ben poco rispetto a quello che è uscito. Le sale in Italia, ad oggi, sono circa 250, tante, troppe, eppure poche a fronte della sproporzionata offerta iniziale concessa da parte dell’AAMS (Amministrazione Autonoma del Monopolio di Stato) che ne mise a disposizione 800, più o meno. Il Bingo coinvolge milioni di persone, metà delle quali frequentano le sale in maniera sistematica. Insomma l’italiano medio ha solo l’imbarazzo della scelta, può giocare al lotto e a tutti i giochi ad esso associato, ai gratta&vinci, alle slot, nei bingo, oppure può dedicarsi alle scommesse sportive. Un po’ come le sigarette: quando si entra in un tabacchino si possono scegliere vari tipi di tabacco, qualcuno potrebbe dire che sono diversi modi di morire, sui pacchetti  capeggiano frasi del tipo “il fumo uccide”, “il fumo danneggia te e chi ti sta intorno”, con foto davvero impressionanti dell’effetto delle sigarette sul nostro organismo. E sui biglietti? Colori vivaci, scritte, promesse di vincita … avvisi, nessuno. Eppure il gioco crea tanti danni quanto il fumo, forse non fisici, ma sicuramente mentali e, a differenza delle altre dipendenze, purtroppo chi è affetto da ludopatia trascina nel baratro tutta la famiglia, rovina moglie, figli, genitori, è capace di indebitarsi anche l’anima, potrebbe arrivare a giocarsi la casa in un momento di follia. Allora sui biglietti dovrebbero comparire slogan del tipo “il gioco danneggia gravemente te e la tua famiglia”, ma ovviamente i guadagni sono così alti, e le spese talmente basse, che è comodo usarlo come “oppio” di un popolo al quale è stato tolto tutto e che, nella sete di rifarsi, si aggrapperebbe a qualsiasi cosa, perfino ad un sogno effimero che promette felicità e soldi, le due cose che, agli italiani, oggi mancano di più. Da figlia di giocatore, so bene cosa significa perdere tutto in una sola puntata, passato, presente e, soprattutto, futuro. Il gioco non è un gioco, combattetelo armati. 

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