"IL GIORNO DEL RICORDO": IN ONORE DI CHI?

10 February 2017

di Mauro Bonafede

L’uso politico della storia racconta sempre verità distorte e mistificate, funzionali soltanto a chi vuole strumentalizzarle per cancellare responsabilità e costruire narrazioni lontane dallo studio dei documenti storici. A tal fine la destra italiana al governo nel 2004 ha inventato “Il Giorno del Ricordo”, da celebrarsi il 10 febbraio di ogni anno per rinnovare “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale" come recita la legge n.92/2004 che l’ha istituito. Lo Stato italiano ha così riconosciuto ufficialmente quali “martiri della italianità” anche personaggi facenti parte delle SS e criminali di guerra nazifascisti sui quali negli archivi jugoslavi esiste un dossier con capi d’accusa e prove spesso schiaccianti. Con questa legge, che accoglie in toto le interpretazioni degli ambienti delle organizzazioni dei profughi istriani e dalmati e degli ex collaborazionisti, implicitamente lo Stato italiano fa proprio il concetto tipicamente fascista della italianità, legata all’imperialismo e al razzismo e, quel che è peggio, grazie all’avallo del Parlamento, è divenuta verità ufficiale. Cosa sono le “foibe”? Le “foibe” (fosse in dialetto triestino) sono cavità naturali profonde presenti nella geografia territoriale del carso triestino, ma non solo lì. La propaganda nazionalfascista, dal 1945 in poi, ha sostenuto che “migliaia” di persone sarebbero state infoibate, cioè gettate nelle “foibe” solo perché italiani. La storia documentata racconta come sono andate le cose lungo quel confine durante la Seconda Guerra mondiale. Il 6 aprile 1941 l’esercito nazista e dieci giorni dopo, il 16 aprile, quello italiano, invasero la Jugoslavia.

La Slovenia venne smembrata fra Italia e Germania. In Croazia, invece, il 18 maggio Aimone di Savoia, ne diventò re e il collaborazionista Ante Pavelic primo ministro. Nel luglio 1941 le prime formazioni partigiane slovene iniziarono la loro azione di ribellione e da settembre diverse azioni congiunte italo-tedesche tentarono il loro annientamento, fallendolo, malgrado l’uso sistematico del terrorismo verso la popolazione civile, le stragi, le deportazioni e le rappresaglie nei confronti dei partigiani. In Slovenia, già dall’ottobre del 1941, il tribunale speciale pronunciò le prime condanne a morte e il mese dopo entrò in funzione il tribunale di guerra. La lotta repressiva contro i partigiani, che diventano una realtà in continua espansione, si sviluppò nel quadro di una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei territori. Con l’intervento diretto dei comandi militari italiani la politica della violenza si esercitò nelle più svariate forme: iniziarono le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento sistematico delle città. Prese corpo il progetto di deportazione totale della popolazione, con il trasferimento forzato degli abitanti della Slovenia, progetto che non si realizza solo per l’impossibilità di domare la ribellione e il movimento partigiano. Nel clima di repressione instauratosi con l’occupazione militare nel territorio jugoslavo, per il regime fascista nasce inevitabilmente l’esigenza di creare delle strutture per il concentramento di un gran numero di civili deportati da quelle regioni. In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta, riconosciuto dagli Alleati come criminale di guerra, in data 8 settembre 1942, viene proposta la deportazione della popolazione slovena. "In questo caso, scrisse, si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all'interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana". I campi di concentramento e deportazione italiani furono almeno 31 (a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, ecc.), disseminati dall'Albania all'Italia meridionale, centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto. Solo nei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (Jugoslavia) ne morirono 1.500 circa. Vi furono internati soprattutto sloveni e croati (ma anche "zingari" ed ebrei), famiglie intere, vecchi, donne, bambini. In questo contesto storico di occupazione imperialista sono poi avvenute alcune esecuzioni sommarie da parte dei partigiani jugoslavi “comunisti” testimoniate dai resti dei corpi ritrovati nelle “foibe”. Una nota significativa a parte, spesso volutamente ignorata nel racconto delle “foibe”, ma intrinseca a quanto è successo, riguarda la vicenda della resistenza dei militari italiani presenti in Jugoslavia dopo l’8 settembre 1943 che a migliaia si unirono alle formazioni partigiane e dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo (EPLJ): se davvero fosse esistito un piano di pulizia etnica nei confronti degli italiani, perché mai i militari italiani (che diedero poi vita alla Divisione Italia che contribuì a liberare Belgrado nel 1945) furono accettati dai partigiani e dal nuovo esercito jugoslavo come alleati? Istituire Il Giorno del Ricordo, accanto alla Giornata della Memoria del 27 gennaio e mettere quindi sullo stesso piano Shoah e foibe, vuol dire alimentare l'ideologia irredentista e revisionista. Nessuno vuole fare del "negazionismo delle foibe", ma è doveroso invece attuare una ricostruzione storica perché, come afferma la storica Claudia Cernigoi <<sulla questione delle foibe sono state dette tante falsità e queste falsità sono diventate una 'leggenda metropolitana', un 'mito', che vengono utilizzate in chiave antipartigiana e neo-irredentista>>. Alla luce dei materiali d'archivio che Claudia Cernigoi ha analizzato, si può dimostrare che nessuna politica di sterminio o pulizia etnica è stata condotta da parte dei partigiani Jugoslavi contro gli italiani che persero la vita nelle foibe. Dietro le celebrazioni del Giorno del Ricordo si cela, dunque, del revisionismo storico, facendo memoria di fatto di caduti italiani nazifascisti e ponendo ancora una volta in continuità l’Italia repubblicana con quella fascista e poi repubblichina. Per un approfondimento suggeriamo la lettura del libro di Claudia Cernigoi “Operazione Foibe. Tra storia e mito” (KW Edizioni. Gennaio 2005).

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