Celeste, la Forza di una Regina

14 August 2016

di Cristina Vichi

 Celeste

La Forza di una Regina 

Autore: Cristina Vichi 

© copyright 2016- All Rights Reserved 

Tutti i diritti sono riservati. È’ vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale.

Questa è un’opera di fantasia.

Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia.

Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

Diritto d'autore: <a href='http://it.123rf.com/profile_zigf'>zigf / 123RF Archivio Fotografico</a>

Editing e grafica a cura di Emanuela Navone.

Le mie opere:

Celeste (L’Ardore di una Donna)

Destini Ingannati

Celeste (La Forza di una Regina)

In prossima uscita:

 E se poi te ne penti?!

Tander (Dentro di noi l’energia dei Fulmini)

Blog Autrice

https://www.facebook.com/CristinaVichiscrittrice/

 

  A Leonardo,

il più piccolo dei miei figli,

per i suoi sorrisi,

per la dolcezza dei suoi abbracci e dei suoi baci.


Trama

La profezia della Vecchia, svelata in punto di morte, sconvolge ogni equilibrio di amore e serenità. Celeste, regina di Asserlay, si trova catapultata in un vortice di eventi che sembrano schiacciarla, condannandola a cedere alle prepotenze di chi trama contro di lei. Ed ecco lo spirito selvaggio e indomito di una donna che continua a sperare, l’ardore di un’anima che non si può piegare, il coraggio di lottare contro ogni ingiustizia, nonostante tutto. Il carattere di Celeste, la sua forza e la sua impulsività cambieranno il destino di chi la circonda: il suo atteggiamento anticonvenzionale non potrà non stupire. Finché capirà che il nemico non è solo chi si schiera apertamente contro di lei: il vero nemico è il Passato.

 

Celeste (La Forza di una Regina) è il sequel di Celeste (L’Ardore di una Donna).

Entrambi i romanzi sono autoconclusivi.

L’epoca in cui sono narrate le vicende non è definita e i luoghi sono inventati. Il carattere della protagonista non è volutamente giustificabile per i tempi in cui si svolge la storia.

Introduzione

Castello di Valleran

Un urlo straziante riecheggiò dalla torre più alta del castello. Marlok abbandonò le posate sul tavolo. «La Vecchia!», esclamò con gli occhi sbarrati. Caterina lo fissò, preoccupata, ma lui era già scattato in piedi, precipitandosi verso le scale. Quella donna aveva salvato sua moglie e suo figlio. Senza l’intervento della Vecchia, la sua vita non avrebbe ritrovato la serenità che gli era stata rubata con l’inganno e per quel motivo si era promesso di prendersi cura di lei fino alla morte. Salì le scale quattro gradini per volta e raggiunse presto la torre, dove la Vecchia si ritirava per mescolare i suoi intrugli puzzolenti. Appena varcata la soglia, il volto di Marlok si deformò in una smorfia schifata: l’odore era nauseante e il fumo che vagava per la stanza gli impediva di vedere chiaramente. Avanzò di qualche passo e vide il corpo della Vecchia accasciato a terra. Si avvicinò, agile, e la sollevò, portandola fuori dalla stanza. La osservò attentamente: i capelli bianchi come il latte le contornavano il viso solcato da rughe profonde. Nonostante il suo aspetto raccapricciante, non gli aveva mai fatto ribrezzo e nutriva una sincera riconoscenza verso di lei. La scrollò leggermente, cercando di farla rinvenire.«Vecchia!», la chiamò. «Avanti, apri gli occhi!». Nessuna risposta. La scosse più violentemente e lei sobbalzò, sbarrando gli occhi completamente bianchi. Marlok si lamentò quando le unghie ingiallite della Vecchia si conficcarono nelle sue braccia muscolose. «Alla tua età, dovresti smettere di fare questi intrugli schifosi!», la rimproverò. La Vecchia emise un gemito rauco e spinse le unghie più in profondità. Lui sospirò, sopportando il dolore: «Avanti, calmati, Vecchia! È tutto finito!». «È appena iniziato!», sussultò lei, balzando vicina al suo viso. Marlok scosse il capo, comprensivo: quella donna era sempre stata considerata una pazza per via delle sue presunte visioni e per i suoi improvvisi e insensati cambi di umore, ma lui aveva cercato di farla sentire a suo agio, sebbene non avesse mai finto di credere alle sue stravaganze. «Dovresti riposare, anziché agitarti per nulla». La Vecchia sbuffò e lo fissò, cupa: «Ascoltami!». Gli afferrò il viso con le mani rugose. «L’altra metà del tuo passato sta per tornare... e chiede giustizia...», biascicò, «...chiede giustizia... ma è mossa dall’odio e dal rancore per i torti subìti... e sarà come un uragano che spazzerà via la serenità...». Marlok sospirò, contrariato: «Non c’è più odio nel mio cuore per ciò che è accaduto in passato». La Vecchia lo scrutò intensamente e si avvicinò nuovamente al suo viso, alitandogli in faccia: «Saranno il cuore e la mente di tuo figlio a essere preda di angosce: a breve qualcuno tramerà contro di lui; sta per accadere un terribile avvenimento... e lui non sarà più lo stesso». «Riposati, Vecchia!». Marlok allontanò il viso dal suo alito. «Ti porto nella tua stanza», affermò scendendo le scale. «Preferisco morire fra le tue braccia», dichiarò lei, stanca. A quelle parole Marlok sorrise: «Tu hai la pelle dura! Non morirai!». Davanti a quella rivelazione lei sghignazzò per pochi istanti, poi il suo volto diventò teso e impercettibilmente adirato. «Sono io che faccio le previsioni! Non tu!», strillò. La voce acuta della Vecchia perforò i timpani di Marlok, che la distanziò leggermente da sé, sospirando pazientemente. «Non credo alle previsioni del futuro, dovresti saperlo, ormai!», affermò con tono solenne. Lei sbuffò: «Ci crederai quando sarò morta, quando non sarò più qui per rispondere alle tue domande... e in quel momento rimpiangerai di non avermi chiesto ora altre spiegazioni...». Lui sorrise, mentre apriva la porta della sua stanza. «Tienimi stretta ancora qualche minuto...», lo supplicò la Vecchia, poco lucida, avvinghiando le esili braccia intorno al suo collo, «...non manca molto...». Marlok acconsentì. «Non hai il volto di chi sta per morire... ma hai salvato dalla morte mia moglie e mio figlio, che era ancora indifeso nel suo grembo», ricordò con una punta di emozione. «Farò quello che mi chiedi e ti sarò debitore a vita...», dichiarò, fissandola negli occhi. La Vecchia annuì, compiaciuta. «Per il futuro, ricorda almeno questo: non tutto è come sembra», annunciò. Poi sospirò: «Il tuo debito, re Giacomo, finisce qui... grazie...». In quel momento chiuse gli occhi, i deboli muscoli persero quel poco di vigore che avevano e il suo corpo si abbandonò alle braccia di Marlok. Lui la fissò sbigottito, scuotendola leggermente e avvicinando l’orecchio al suo cuore. Alzando gli occhi incrociò quelli della moglie, che lo aveva raggiunto. «Aveva ragione...», considerò triste, «...sapeva che era giunta la sua ora...».

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Il castello di Asserlay

«Forza, Alma! Più veloce!». Celeste avvicinò il viso al muso della sua cavalla, incitandola ad accelerare. Si guardò preoccupata alle spalle, scorgendo lo stallone nero che le stava addosso e si rigirò agile sulla sella. «Dobbiamo seminarlo!». Gli occhi le luccicavano di determinazione; afferrò le briglie più saldamente e fece forza sulle staffe, sollevandosi dalla sella e spingendosi in avanti. Il bosco si stava diradando sempre di più, finché un’immensa pianura si affacciò innanzi a lei, mostrando la fortezza di Asserlay. «Ancora un ultimo sforzo, Alma! Dobbiamo raggiungere il castello!», la incitò. Dietro di lei, lo scalpitare di chi la inseguiva diventava sempre più opprimente, ma il regno era vicino e Celeste desiderava varcare il cancello. Pochi metri, ormai, la dividevano dalle mura di Asserlay, che era la sua dimora. Si voltò ancora una volta indietro: l’aveva raggiunta. Celeste si sentì afferrare per il braccio, mentre lo stallone si affiancava alla sua cavalla, costringendola a rallentare. «Non puoi scappare da me!», le disse Alessandro, sbilanciandosi verso di lei per rubarle un bacio. A quelle parole Celeste sospirò, con affanno. «La prossima volta non riuscirai a prendermi...», dichiarò, spavalda. Poi allungò le braccia, allacciandole al collo del marito e scivolando sul suo cavallo. «Oh, credo di sì, invece...», dichiarò lui, «...farò di tutto per tenerti con me e non perderti!». Celeste indugiò le dita fra i suoi ricci capelli neri e lo fissò intensamente negli occhi blu: «Non voglio scappare da te: sei il mio mondo, il mio rifugio, la mia casa». Alessandro scrutò i suoi grandissimi occhi, erano così particolari che ogni volta si perdeva dentro di essi: verde smeraldo all’interno e di un verde sfumato più chiaro ai margini. I capelli dorati le scendevano ondulati sul viso, liberi e selvaggi come il suo spirito. «Ti amo, Celeste! Ti amerò per tutta la vita...», le sussurrò, baciandole le labbra morbide e sensuali. Intanto lo stallone nero sul quale erano abbracciati si diresse verso l’entrata della dimora, come se conoscesse da sé la strada di casa, seguìto da Alma. Le guardie aprirono il cancello e i due innamorati entrarono, ancora persi l’uno nello sguardo dell’altra. Raggiunte le stalle reali, Celeste balzò giù da cavallo. La calzamaglia nera aderiva perfettamente alle sue cosce snelle, mentre la camicia, che aveva rubato ad Alessandro, le scendeva larga lungo i fianchi. Era la regina di Asserlay, eppure, guardandola, nessuno lo avrebbe immaginato, a parte chi la conosceva già. Un uomo si fece loro innanzi. Era vestito semplicemente, così da sembrare un comune servo. Il colore castano dei capelli faceva contrasto con quello della barba dorata; sul suo volto risplendeva un magnifico sorriso. «Bentornati, Vostre Maestà!», li salutò, felice. Al suono di quella voce, Celeste si voltò, raggiante: «Buongiorno, papà!». Si fiondò fra le sue braccia. Ivan sospirò. «Non dovresti chiamarmi così...», la rimproverò, «...qualcuno, prima o poi, potrebbe sentirti e sai bene che per tutti sei la figlia del defunto re Umberto». La scostò leggermente dal suo petto: amava essere chiamato papà, ma era un uomo prudente e desiderava che la figlia continuasse a essere felice per tutta la vita. «Hai ragione», ammise lei. «Sono felice che tu sia al mio fianco, a palazzo», gli disse, senza perdere l’intesa con i suoi occhi. Ivan sorrise: l’amore che sentiva per sua figlia gli riempiva il cuore di tenerezza e colmava tutto il dolore che aveva dovuto sopportare in passato per la perdita della sua amata Margherita. Pensò che Margherita sarebbe stata orgogliosa della loro figlia: nonostante tutti i soprusi subìti, Celeste era riuscita ad avere la vita che desiderava, accanto all’uomo che amava. Era convinto che anche la sua amata era in pace e sentiva spesso il suo sguardo velato su di lui. Era una presenza che non lo abbandonava mai. «Ci sarò sempre, per te...», sussurrò commosso a Celeste. Lei gli scoccò un bacio sulla guancia e gli sorrise: «E io per te». Ivan la guardò allontanarsi insieme al suo sposo. Era trascorso quasi un anno dal loro matrimonio e quel periodo era stato di una felicità inimmaginabile. Dopo tutto ciò che era accaduto, finalmente Alessandro e Celeste si godevano quella serenità che non sembrava potesse mai appartenere loro. Sotto la guida dei due sovrani, il regno era diventato fecondo, ed erano stati risanati quasi tutti i debiti del rovinoso regime di re Umberto. I contadini avevano ripreso fiducia e lavoravano contenti, con grandi vantaggi per loro stessi e per tutto il regno. I pensieri di Ivan furono disturbati dal rumore di una carrozza, che si era fermata davanti all’ingresso del castello. Riconobbe il cocchio all’istante. «È arrivato Marlok!», esclamò. A quell’annuncio Celeste e Alessandro cambiarono direzione, contenti della notizia. Marlok e sua moglie Caterina scesero dalla carrozza senza tanti cerimoniali: fra le mura di Asserlay c’erano le persone a loro più care. Lui era un uomo di circa quarantacinque anni, dall’aspetto elegante e dal fisico estremamente muscoloso. Aveva lunghi capelli grigi, che gli scendevano lisci fino alle spalle, e un appariscente orecchino circolare faceva contrasto con il suo portamento impeccabile. Caterina era di costituzione minuta: i grigi capelli erano attorcigliati al capo in modo sofisticato, come si addice a una regina, e il suo vestito color smeraldo era bellissimo. Ventidue anni prima re Umberto aveva espropriato il regno di Marlok, in realtà re Giacomo, con l’inganno. Marlok aveva vissuto come un pirata per tanti anni, per poi tornare a compiere la sua vendetta. Dopo tante peripezie, in cui Marlok ritrovò la moglie creduta morta e un figlio di cui non conosceva l’esistenza, Umberto fu ucciso. Celeste ereditò tutte le ricchezze di re Umberto, poiché era riconosciuta come sua unica figlia: in quel modo diventò la sola erede di Asserlay e di Valleran. Alessandro, figlio di Marlok, e Celeste si sposarono, coronando il loro sogno d’amore e, per loro volontà, a Valleran ritornarono a regnare i veri sovrani, così com’era giusto che fosse. Il nome di re Giacomo era stato dimenticato, ma a Marlok non dispiaceva: vivere con le persone che amava era tutto ciò che desiderava. Inoltre, l’avventura per riconquistare il suo regno e avere finalmente giustizia gli aveva fatto ritrovare non solo il figlio che non sapeva di avere, ma anche dei veri amici, che avevano condiviso con lui molto più di quanto ritenesse possibile. Marlok osservò suo figlio e Celeste avvicinarsi a lui, tenendosi per mano: voleva loro un bene incredibile e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere la felicità che si erano conquistati. Notando il gruppo, un soldato dai capelli color carota si spostò dalla sua postazione per aggregarsi. Marlok lo salutò con la mano: «Ciao, Michele!». «Amico mio, bentornato!», rispose lui con un sorrisetto. Alessandro abbracciò la madre. «Prego, accomodatevi!», li invitò. Marlok scosse il capo: «No, siamo passati solo per dirvi che è morta la Vecchia...». A quella notizia Celeste sussultò: «Oh, per quanto fosse avanti con gli anni, sembrava così invulnerabile... mi dispiace...». «Già...», approvò Marlok, «...speravo che la morte non la volesse più, ormai. Che stupida illusione!». «Quella donna ha salvato me e mia madre dalla morte, senza i suoi intrugli ora non saremmo qui a parlare», considerò Alessandro. «Resterà nei nostri cuori per sempre», dichiarò Caterina, che era ancora assorta nei suoi pensieri. Ivan aveva ascoltato la conversazione in silenzio: lui non aveva avuto modo di stringere un rapporto stretto con la Vecchia, ma serbava per lei un profondo rispetto. Marlok si concentrò su di lui: «Che ne dici di un duello amichevole?». Ivan ridacchiò: «Non qui, però! Non vorrei che qualcuno si insospettisse nel vedere quanto è profondo il legame che ci unisce!». Marlok alzò le spalle: «E tu lasciali insospettire e parlare... nessuno potrà più minare la nostra felicità, ce la siamo meritata fino all’ultimo pezzo!». Strizzò l’occhio a Celeste. Lei sorrise. Suo padre aveva compiuto l’impossibile per salvarla dal convento e permetterle di crescere con lui, ma senza Marlok e Michele non avrebbe mai potuto farcela. Inoltre, senza il loro aiuto, non le sarebbe stato possibile diventare la regina di Asserlay. Alla fine, però, tutto si era concluso al meglio: Umberto e suo nonno Gregorio erano morti e lei aveva ereditato entrambi i loro regni; Marlok e Caterina erano potuti ritornare a Valleran, nella loro amata dimora. Celeste osservò quei tre uomini. La loro intesa era sorprendente: erano persone eccezionali, a cui si sentiva legata da un profondo affetto. «Ha ragione Marlok», si intromise Michele. «Stai più rilassato... siamo tutti al sicuro!». Gli diede una pacca sulla spalla. Ivan sospirò: «La prudenza non è mai troppa! Qua siamo tutti amici... senza differenze fra servi e padroni... temo che questo atteggiamento possa destare sospetti». Marlok lo fissò, pensieroso: «Celeste e Alessandro trattano bene chiunque... è il loro modo di essere sovrani! Loro sono... diversi!». Squadrò Celeste, sghignazzando: «Guardate lei com’è vestita!». Davanti a quell’osservazione Celeste scrollò le spalle: ormai erano più i momenti in cui era vestita da uomo, piuttosto che quelli in cui aveva un’aria da regina. Anche a Ivan scappò un sorriso. «Il re è Alessandro e nessuno oserà mettere in dubbio il suo modo di governare», aggiunse Michele. «Sotto la mia ala protettrice, Celeste potrà continuare a comportarsi come meglio crede; io non la priverò mai della sua libertà», affermò Alessandro. Lei sorrise. «Be’, non potresti farlo neanche se volessi...», lo punzecchiò. Lui sospirò: era tipico di sua moglie pensare di poter difendere la sua libertà e il suo spirito con le proprie forze, sempre e comunque. Marlok annuì: «Un regno ha bisogno della forza di un re e della sensibilità di una regina: voi due siete un binomio formidabile, per questo va tutto così bene». «È l’amore che ci unisce a rendere tutto più facile!», affermò Celeste. Alessandro le strinse la mano. «Non dico che ci sia qualcosa che non va bene...», si difese Ivan, «...dico solo che essere prudenti non guasta mai!». Caterina fu d’accordo: «Ha ragione Ivan: dobbiamo continuare a vegliare sui nostri figli, affinché continuino a essere sempre così uniti e felici». Il suo volto, osservando i due giovani, si illuminò in un sorriso. «Allora, questo duello?!», domandò Marlok, spazientito. «Va bene...», acconsentì Ivan, «...inoltriamoci nel bosco del regno: lì saremo tranquilli». «Celeste, Alessandro, Michele, vi unite a noi?», domandò Marlok. «Certo che sì!», rispose Celeste, entusiasta. Era sempre contenta di mantenere l’allenamento con la spada e Marlok era il suo maestro preferito. Il suo primo insegnante era stato il padre, che aveva assecondato i suoi interessi e le sue propensioni fin da quando era piccola; poi, da quando aveva conosciuto Marlok, era stato lui a seguirla negli allenamenti e l’aveva spinta a perfezionare la tecnica oltre i suoi limiti. Saper usare la spada le aveva salvato la vita in più di un’occasione. Marlok guardò la moglie, che non gli permise di parlare. «Non preoccuparti...», avvicinò l’indice alle sue labbra per zittirlo, «...mi farò preparare un tè da Emma». Lui le sorrise:«Grazie, ci vediamo più tardi». La attirò a sé per baciarla. Celeste era sempre affascinata dal loro amore: nonostante il destino, crudelmente manipolato da re Umberto, li avesse tenuti lontano per vent’anni, si erano ritrovati e il loro sentimento era più forte che mai. Caterina, imbarazzata, si staccò dal marito. «A dopo, caro», lo salutò con gli occhi brillanti. Il gruppo si avviò oltre le stalle, dove c’era un grande bosco all’interno delle smisurate mura del castello. Tutti duellarono contro tutti. Ormai per loro non era una novità battersi con Celeste e nessuno commetteva più l’errore di sottovalutarla, soprattutto Alessandro, visto che la prima volta gli aveva fatto volare via la spada con una facilità disarmante. Marlok, da vero maestro, la spronò a fare ancora di più. Si avvicinò e le legò un fazzoletto sugli occhi. Celeste scoppiò a ridere: «Che cosa stai facendo?!». «Devi imparare a combattere senza la vista, in questo modo sarai costretta a utilizzare al meglio tutti gli altri sensi», le spiegò. «Ma se non vedo... come posso parare i colpi?», si allarmò lei.Alessandro sospirò: suo padre tendeva sempre a esagerare. Si trattenne dall’intervenire. Neanche Ivan capiva il senso di quell’esercizio, ma era curioso di vedere come Celeste se la sarebbe cavata. «Non ci riuscirai subito, Dolce Guerriera!», la ammonì Marlok. «C’è bisogno di tanto esercizio per sviluppare gli altri sensi. Purtroppo tendiamo a pensare che la vista sia il senso più importante... ma perché?! Non è forse come tutti gli altri?». Marlok sferrò il primo colpo contro Celeste, che lo parò all’istante. Seguì uno scontro incredibile, in cui lei non solo parava, ma attaccava continuamente, con una precisione che aveva dell’incredibile. Infine Celeste tolse il fazzoletto dagli occhi e osservò gli sguardi sbigottiti di tutti, paralizzati su di lei. Nessuno osò dire neanche una parola, la guardavano come se non sapessero più chi avevano di fronte. Davanti alle loro facce esterrefatte, Celeste non riuscì a trattenere un risolino. «Il fazzoletto era bucato, proprio qui vicino all’occhio...», glielo mostrò, «...vedevo tutto!». Esplose in una grande risata liberatoria. A quella rivelazione tutti si rilassarono e si aggregarono al suo divertimento. «Comunque, in qualche modo riesci sempre a stupirci, Dolce Guerriera!». Marlok scosse il capo, incredulo. «Il fazzoletto bucato...», rise fra sé e sé, «...e io che pensavo che non fossi umana...».

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News » Il racconto della Domenica - Sede: Nazionale | Sunday 14 August 2016